Il procedimento di riparazione per ingiusta detenzione è caratterizzato da una componente risarcitoria e da una indennitaria: la prima, riguarda i danni patrimoniali e non patrimoniali. La seconda, invece, ricomprende le voci non quantificabili. L’obbligo di motivazione vige anche con riferimento alle richieste dedotte in via equitativa e non può ridursi a mera clausola di stile.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione si è di recente pronunciata la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione (n. 9468-19 c.c. 31.01.2019 – 05.03.2019), affermando il principio secondo il quale il procedimento in esame prevede sia una componente risarcitoria che una indennitaria.
Per la liquidazione del danno, la Corte può pertanto utilizzare sia il criterio risarcitorio, con riferimento ai danni patrimoniali e non patrimoniali, sia il criterio equitativo per le voci non esattamente quantificabili, quali l’interruzione dell’attività lavorativa, dei rapporti sociali e affettivi nonché il peggioramento non voluto delle abitudini di vita.
La pronuncia è di particolare rilievo poiché obbliga il giudicante a evitare il ricorso alle c.d. motivazioni standard, cioè all’utilizzo di mere clausole di stile per negare il diritto al ristoro dei danni esistenziali e alla vita di relazione, che nella maggior parte dei casi non sono facilmente quantificabili.
Nel caso in esame, la Corte ha censurato la decisione della Corte d’Appello di Roma che aveva respinto la richiesta di riparazione del danno morale, biologico ed esistenziale, difettando una comprovata riconducibilità contabile del periodo di detenzione a ulteriori e specifici danni economici patiti dall’istante e ha invece affermato il principio di diritto sopra enunciato.