Commento a sentenza Cass. Sez. III Penale, n. 3406/19.
La Cassazione interviene in tema di netta differenziazione del regime probatorio nel processo tributario e nel processo penale.
L’onere di dimostrare la colpevolezza di un imputato in relazione al capo d’imputazione con cui è tratto a giudizio grava indefettibilmente sull’Accusa. Questo principio, che appare solare e evidentemente rispettoso dei precetti costituzionali sottesi al nostro ordinamento, talvolta viene disatteso o comunque messo a rischio da interpretazioni che, fortunatamente, si scontrano con le pronunce, ormai univoche, della Corte di Cassazione.
Vale infatti la pena muovere da un arresto risalente ormai a qualche anno fa che si è innestato in uno solco garantista che ancora oggi sottolinea come il compendio probatorio acquisito nell’ambito dell’indagine tributaria non possa assurgere a prova a carico nel giudizio penale, in assenza delle dovute garanzie in favore dell’indagato e/o dell’imputato.
Vero è, infatti, che sovente la comunicazione di notizia di reato è originata da un accertamento tributario, effettuato dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza, promosso e postulato sulla base dei criteri di verifica consentiti in ambito amministrativo.
Vero è, altresì, che i riscontri probatori utilizzati – ove si evidenzino profili di responsabilità di carattere penale – vengono sic et simpliciter riversati nel fascicolo istruttorio, in gran parte dei casi senza alcuna rivalutazione per la loro utilizzabilità nel processo.
La Suprema Corte di Cassazione (Sez. Terza penale n. 3262/15) pone l’accento sulla rilevanza indefettibile dell’applicazione della norma di garanzia di cui all’art. 220 Disposizioni di Attuazione del codice di rito secondo cui “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice.”
Nel caso esaminato, il Tribunale, per giungere al giudizio di colpevolezza, aveva utilizzato, quale prova a carico dell’imputato, il contenuto del processo verbale di constatazione in assenza di qualsiasi altro riscontro volto alla corretta quantificazione dell’evasione fiscale contestata. Tuttavia il Giudice di legittimità ha evidenziato la scorrettezza di tale ragionamento ritenendo da un lato che il documento potesse essere acquisito ex art. 234 c.p.p. quale atto amministrativo extraprocessuale e dall’altro che, in ogni caso, i dati processualmente utilizzabili fossero da contenersi nella parte precedente alla emersione di indizi di reato “giacché la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria” in quanto elementi assunti in violazione delle norme di garanzia e quindi eludendo il precetto di cui al citato art. 220 Disp. Att.
Su tale linea interpretativa di natura garantista appare di particolare rilievo la recentissima sentenza della Suprema Corte (n. 3406/19 Sez. terza penale) che sottolinea il principio per cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possano costituire di per sé fonte di prova dei reati previsti dal D. Lgs. 74/2000.
In particolare il caso di specie concerneva la ritenuta colpevolezza di un imputato per artt. 2 e 4 D. Lgs 74/2000 sull’unico rilievo probatorio consistente in prelievi di cassa presuntivamente riferibili a ricavi.
Nel censurare la motivazione dei Giudici di merito, gli Ermellini hanno ritenuto che “tale deduzione si basa su una presunzione che, nella sua assolutezza, risulta essere tipicamente riconducibile al solo diritto tributario e non può estendere il suo campo di azione anche all’accertamento penale dei reati.”
Ancora una volta quindi la giurisprudenza di legittimità si pone da argine rispetto al tentativo speculativo di raddoppiare il processo a carico del presunto evasore che mediante i simmetrici dati probatori viene chiamato a rispondere davanti al giudice tributario e davanti a quello penale.
27 febbraio 2019
Avv. Lapo Becattini