Profili di dubbio in ordine alla risarcibilità del danno da prodotto di per sé non difettoso.
Vi è una sempre maggiore consapevolezza dei rilevanti pericoli che possono derivare dall’uso di prodotti che risultano pienamente conformi alle prescrizioni legali stabilite dal legislatore: ciò’ vale per esempio nell’utilizzo di tabacco, autoveicoli, telefoni cellulari e molti altri prodotti di utilizzo quotidiano e quant’altro.
La giurisprudenza, sul punto, fino ad oggi non è riuscita a dare un indirizzo preciso. All’interno della casistica si possono identificare tre orientamenti: a) alcune sentenze si soffermano sul criterio generico della sicurezza che il consumatore può attendersi dall’utilizzo del prodotto, senza nessun riferimento al rispetto degli standard tecnici; b) il secondo orientamento vede l’applicazione dell’articolo 2050 cc con la previsione di un risarcimento di derivazione sovranazionale ed europea; c) un numero limitato di pronunce risolve il problema con una lettura interpretativa con la quale la difettosità del prodotto viene configurata sulla base di un parallelismo con i criteri di sicurezza previsti dal legislatore. Non si è riusciti, in ogni caso, a stabilire regole generali in aiuto dell’interprete.
Partendo dal presupposto che il prodotto possa considerarsi ragionevolmente sicuro, la responsabilità’ potrebbe ricorrere qualora si considerasse che il legislatore avesse voluto garantire solo un “livello minimo di sicurezza”. In tal caso, il rispetto delle regole e degli standard tecnici non sarebbe sufficiente per escludere la responsabilità’ del produttore.
Ove, invece, gli standard prescritti avessero la funzione di “limiti massimi di sicurezza” bisognerebbe escludere la responsabilità’ per il prodotto conforme ma comunque dannoso.
Ma v’è di più. Anche nell’ applicazione dell’art 2050 cc, vi è confusione perché’ non esiste una visione univoca che riesca a dare una definizione precisa al termine “pericoloso”. La vita moderna col suo progredire in ogni campo rende, infatti, necessario lo svolgersi di attività pericolose, che, socialmente utili, per i risultati cui mirano, vengono tollerate o consentite, o, talora, addirittura incoraggiate dall’ente statale.
L’analisi della casistica giurisprudenziale in tema di responsabilità pericolose è testimone di questa confusione di fondo, in quanto, allo stato attuale, risulta estremamente difficile individuare criteri sufficientemente precisi sulla base dei quali stabilire ex ante se un’attività rientri o no nel novero di quelle soggette all’applicazione dell’art. 2050 c.c.
Secondo un primo orientamento si dovrebbero, infatti, considerare come pericolose le attività classificate come tali dal legislatore; mentre, secondo un altro filone, il novero delle attività pericolose dovrebbe essere ampliato facendo ricorso ad un criterio scientifico statistico.
Rimane aperto il problema di capire se il risarcimento debba essere previsto anche nel caso in cui vi sia un prodotto innovativo che rispetti gli standard previsti per la sua immissione nel mercato, anche molto tempo dopo il suo utilizzo, potenzialmente pericoloso per il consumatore o il produttore. Per giustificare l’applicazione dell’articolo 2050 cc si è cercato di attribuire rilevanza al principio di precauzione. A mente dell’articolo 7 Reg. Ue n. 178/2002, infatti, “Qualora, in circostanze specifiche, a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità’ di effetti dannosi per la salute ma permangano situazioni di incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la comunità’ persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più’ esauriente del rischio”.
E’ controverso che il principio di precauzione possa essere invocato dall’autorità giudiziaria nei rapporti fra privati. La giurisprudenza comunitaria ( Corte Giust. CE 9/09/03 n 236/01) ha chiarito che il principio di precauzione è eminentemente rivolto alle autorità’ amministrative che sono chiamate a trasformare la generica enunciazione del principio di precauzione in misure concrete e circostanziate dopo aver operato, anche con il supporto di organi scientifici accreditati una valutazione dei rischi e attuato un contemperamento tra le esigenze di tutela della salute indicate dalla scienza e altri interessi che vengono di volta in volta in considerazione.
In questa prospettiva si potrebbe affermare dunque che il giudice chiamato a stabilire se si possa applicare l’articolo 2050 cc non possa fare riferimento alla generica enunciazione del principio di precauzione ne’ interpretare autonomamente eventuali dati epidemiologici statistici che indicano un’elevata capacità di un prodotto di causare danni.
Egli dovrebbe, invece, allinearsi all’espressione circostanziale del principio di precauzione sancito dal legislatore ed alle autorità amministrative legittimate da quest’ultimo. La soluzione dovrebbe essere ricercata altrove. Adottando questa impostazione, si potrebbe ipotizzare che le discipline di settore che riguardano particolari categorie di beni, oltre a definire il concetto di sicurezza del prodotto, possano essere chiamate a svolgere una funzione ulteriore. E’, nel loro ambito, cioè, che dovrebbero essere ricercate le indicazioni circa il carattere ordinario o pericoloso del prodotto oggetto della disciplina e quindi giustificare l’applicazione del regime di responsabilità prevista dall’articolo 2050 CC in luogo delle regole dettate con riferimento alla responsabilità del produttore.
La possibilità di assoggettare i produttori di alimenti o quantomeno di determinate categorie di alimenti alla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose dovrebbe dipendere, in altri termini, dalle esplicite indicazioni che il legislatore fornisce riguardo al carattere pericoloso del prodotto e non dall’eventuale evidenza scientifica che dimostri un’elevata capacità di procurare danni alla salute dei consumatori ( c.d. criterio statistico), né questo dato potrebbe essere ricavato sulla base di un utilizzo diretto del principio di precauzione enunciato in termini generici.
23 febbraio 2019,
Avv. Silvia Leda Mauro
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